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Cibi guasti in magazzino: è reato anche senza vendita

Conservazione alimenti: è reato tenere cibi guasti in magazzino, anche se non destinati alla vendita

Cassazione Penale: responsabile il gestore che non garantisce la sicurezza alimentare in ogni ambiente del locale

Il mantenimento di alimenti in cattivo stato di conservazione all’interno di un locale commerciale costituisce reato, anche quando tali prodotti si trovino esclusivamente nel magazzino o nella dispensa, e non siano direttamente destinati alla vendita al pubblico. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 22632/2025, depositata il 20 giugno 2025 dalla terza sezione penale, che ha accolto il ricorso presentato dal Pubblico Ministero contro l’assoluzione emessa dal Tribunale di Trieste nei confronti del titolare di un kebab.

Violazione della normativa europea sulla sicurezza alimentare

Il provvedimento si fonda sull’applicazione del Regolamento CE 852/2004, che stabilisce obblighi rigorosi in materia di igiene degli alimenti per tutti gli operatori del settore alimentare. Questo regolamento impone che ogni fase della produzione, trasformazione, stoccaggio e distribuzione dei cibi avvenga nel rispetto di standard sanitari precisi, volti a garantire la salute del consumatore.

Secondo i giudici di legittimità, la presenza di prodotti alimentari avariati, anche in spazi non accessibili ai clienti e separati da quelli adibiti alla somministrazione o vendita, configura una violazione degli obblighi di garanzia in capo al gestore dell’attività. La tutela del consumatore, infatti, si estende all’intero ciclo di conservazione e gestione degli alimenti.

Il caso: pomodori marci e alimenti avariati in dispensa

Il caso esaminato riguarda un esercente trentquattrenne di origine pakistana, titolare di un locale kebab nel centro cittadino di Trieste. Durante un’ispezione condotta in pieno agosto, le autorità sanitarie hanno rinvenuto circa due chili di pomodori in avanzato stato di decomposizione all’interno di un congelatore, insieme a nove confezioni di altri prodotti alimentari deteriorati e a cibo sfuso in condizioni igieniche pessime.

Il Tribunale aveva inizialmente assolto l’imputato, ritenendo che i prodotti rinvenuti non fossero destinati alla vendita. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ribaltato questa decisione, sottolineando che la mera presenza di cibo guasto nei locali dell’esercizio commerciale rappresenta un pericolo concreto per la salute pubblica.

Reato di pericolo presunto: il rischio conta più dell’intento

La Corte ha chiarito che la contravvenzione prevista dall’articolo 5, lettere b) e d) della Legge 283/1962 è un reato di pericolo presunto. Ciò significa che non è necessario dimostrare l’effettiva immissione sul mercato degli alimenti guasti: è sufficiente la potenziale minaccia che essi rappresentano per la salute dei consumatori.

Il principio di fondo è che la salvaguardia della salute pubblica si realizza attraverso la tutela della sicurezza alimentare in ogni fase del ciclo produttivo e distributivo. In tale ottica, è vietato conservare prodotti alimentari non idonei al consumo in aree comuni del locale, incluse dispense, celle frigo, depositi e magazzini.

Obblighi per gli esercenti: distinguere rifiuti da alimenti

Secondo la Cassazione, la normativa europea e nazionale in materia di sicurezza alimentare impone agli esercenti l’obbligo di separare chiaramente gli alimenti deteriorati dai prodotti destinati al consumo, riservando ai primi un’area di deposito temporaneo destinata allo smaltimento o al recupero.

La mancata osservanza di queste disposizioni, anche in assenza di dolo specifico, configura una violazione sanzionabile penalmente, perché mina il legittimo affidamento del consumatore circa l’igienicità dei prodotti somministrati.

Responsabilità penale anche in assenza di vendita

La sentenza della Corte di Cassazione rappresenta un importante richiamo per tutti gli operatori del settore alimentare: la responsabilità penale può insorgere anche quando i prodotti alimentari deteriorati non siano destinati alla vendita diretta. È dunque essenziale mantenere standard igienico-sanitari elevati in ogni ambiente dell’attività, compresi quelli non visibili al pubblico.

Per garantire la completa sicurezza alimentare, ogni fase – dalla ricezione alla conservazione – deve essere conforme alle normative europee e nazionali vigenti. In caso contrario, il rischio di sanzioni penali è concreto e immediato.

Federica Santoni

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