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Class action contro Fitbit per Charge HR e Surge

Inizio dell’anno con una class action contro Fitbit intentata presso lo US District di San Francisco da un gruppo di utenti possessori di alcuni app o dispositivi realizzati dall’azienda californiana, per tenere sotto controllo l’attività e l’allenamento colpevole. Secondo i legali i prodotti commercializzati come Charge HR e Surge non sono in grado di misurare in modo appropriato il battito cardiaco durante gli allenamenti.

I querelanti, provenienti dagli stati della California, Colorado e Wisconsin, accusano Fitbit di continuare a promuovere i propri prodotti esaltandone le funzionalità di monitoraggio: “Questo fallimento non impedisce a Fitbit di promuovere fortemente la funzionalità del monitoraggio del battito cardiaco”, viene letto nella causa.

La causa è nata dopo che uno dei querelanti ha misurato il proprio battito cardiaco dopo aver svolto attività fisica utilizzando un Charge HR ed un misuratore medico, riscontrando una differenza notevole tra i due risultati: 82 battiti misurati dal primo dispositivo, 160 battiti misurati dal secondo.

“Con questo margine di errore, il dispositivo è inutile come misuratore del battito cardiaco”, viene motivato nel testo depositato presso lo US District di San Francisco. Dal canto suo, Fitbit rispedisce al mittente qualsiasi accusa, affermando che la denuncia non ha alcun fondamento.

“Stiamo portando avanti alcuni studi interni per la validazione dei nostri prodotti”, ha aggiunto un portavoce dell’azienda.La class action di questi giorni si va ad aggiungere alla causa giudiziaria che vede Fitbit impegnata contro Jawbone, con la seconda che accusa la prima di aver rubato informazioni segrete tramite l’assunzione di cinque lavoratori.

Nel 2014, poi, Fitbit è stata accusata da alcuni consumatori che hanno riscontrato improvvise eruzioni cutanee dopo aver indossato alcuni modelli di smartband. Fitbit è attualmente impegnata nel lancio di nuovi prodotti al CES 2016 in corso a Las Vegas, tra cui l’inedito smart fitness watch Blaze.

La nostra associazione, dichiara Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, intende intentare una class action nei confronti del colosso americano di questo tipo di APP, con l’obiettivo di ottenere un risarcimento del danno in favore di quei consumatori che sono stati costretti, loro malgrado, dopo l’acquisto dei dispositivi “incriminati”, a ridimensionarne notevolmente l’utilizzo rispetto a quello prospettato e garantito dalla casa.

Antonio Vives

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