I controlli investigativi su chi usufruisce della legge 104 - postbreve.com
Permessi legge 104, sì ai controlli investigativi. Ecco quali sono i casi in cui questo può accadere e le motivazioni indicate.
La Legge 104/1992 rappresenta un pilastro fondamentale per la tutela dei lavoratori che assistono familiari con disabilità in condizione di gravità, come stabilito dall’articolo 3 della normativa. Essa concede al lavoratore tre giorni di permesso mensili retribuiti per assistere il parente disabile, con la possibilità di usufruirne anche in modalità frazionata, ossia con riposi di due ore o di un’ora giornaliera, a seconda della durata dell’orario lavorativo.
La legge, tuttavia, non disciplina esplicitamente la facoltà del datore di lavoro di controllare le attività del dipendente durante la fruizione di tali permessi. Su questo tema si è più volte espressa la Corte Suprema di Cassazione, fornendo indicazioni precise sui poteri e i limiti del datore di lavoro in materia di controllo e prevenzione di eventuali abusi.
La concessione di questi permessi implica per il datore un sacrificio organizzativo significativo, giustificato solo dalla necessità di tutelare diritti socialmente rilevanti e riconosciuti dal legislatore. Se viene a mancare il nesso causale tra l’assenza dal lavoro e l’assistenza al familiare disabile, non può parlarsi di un esercizio legittimo del diritto, ma piuttosto di un abuso, configurando così una violazione dei doveri di correttezza e buona fede nei confronti sia del datore che dell’ente assicurativo (Cass. n. 17968/2016).
La Suprema Corte ha chiarito che tale nesso causale non deve essere interpretato in maniera rigida, ma come una “chiara ed inequivoca funzionalizzazione del tempo liberato dall’obbligo lavorativo alla soddisfazione prevalente dei bisogni della persona disabile”. In sostanza, non sono ammesse misurazioni rigide del tempo dedicato all’assistenza, purché la finalità del beneficio sia ampiamente rispettata, in base a una valutazione affidata al giudice di merito (Cass. nn. 21967/2010, 4984/2014, 5574/2016 e 9217/2016).
Il ricorso a un investigatore privato da parte dell’azienda è ammesso solo se vi è un sospetto fondato di abuso dei permessi, sostenuto da elementi oggettivi come:
Secondo la giurisprudenza consolidata della Cassazione, il controllo di terzi, sia tramite guardie particolari giurate sia attraverso agenzie investigative, non può in alcun caso riguardare l’adempimento o l’inadempimento dell’obbligo contrattuale di prestare opera lavorativa (Cass. nn. 17004/2024, 9167/2003, 15094/2018, 21621/2018, 25287/2022). Tuttavia, è consentito verificare il compimento di atti illeciti non riconducibili al mero inadempimento, come nel caso di comportamenti fraudolenti o penalmente rilevanti (Cass. nn. 9167/2023, 30079/2024).
Di conseguenza, il controllo investigativo risulta legittimo se finalizzato ad accertare comportamenti che possano integrare ipotesi di reato o frodi, come l’uso improprio dei permessi ex Legge 104 (Cass. nn. 4984/2014, 9217/2016, 15094/2018, 4670/2019, 6468/2024).
L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori vieta espressamente l’impiego di investigatori privati per controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative del dipendente, impedendo così che venga sorvegliata la diligenza o la puntualità del lavoratore durante l’orario di lavoro. Tuttavia, i controlli sono ammessi quando mirano a scoprire comportamenti illeciti che, pur non riguardando direttamente la prestazione lavorativa, possono danneggiare l’azienda o la sua reputazione.
In sintesi, la tutela garantita dalla Legge 104 è estesa e flessibile, ma è altresì soggetta a controlli rigorosi e circoscritti, finalizzati a prevenire abusi che possano ledere interessi aziendali e sociali. La Cassazione svolge un ruolo fondamentale nell’equilibrare il diritto all’assistenza con la necessità di evitare condotte fraudolente o improprie, garantendo così un’applicazione corretta e rispettosa della normativa vigente.
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