Italia

Dati interruzione volontaria di Gravidanza devono essere un bene comune

La campagna #DatiBeneComune e altre 30 organizzazioni e attiviste evidenziano l’assoluta mancanza di trasparenza sull’obiezione di coscienza per l’interruzione volontaria di gravidanza e scrivono al Sottosegretario alla Salute Sileri.

21 dicembre 2021 – Le organizzazioni promotrici della campagna #DatiBeneComune insieme a 30 associazioni e attiviste che si occupano di parità di genere e diritti delle donne hanno promosso un’iniziativa per chiedere trasparenza dei dati sulle obiezioni di coscienza e sulle interruzioni volontarie di gravidanza.

Con una lettera inviata al Sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri chiedono che le informazioni su questi temi siano più dettagliate e aggiornate al fine di garantire l’esercizio del diritto tutelato dalla legge 194/1978, per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza, e di rispettare la libertà di scelta delle donne.

L’Italia è fanalino di coda tra i Paesi europei per numero di interruzioni volontarie di gravidanza, sintomo della difficoltà di colmare un gap sociale e culturale rispetto all’esercizio di un diritto che dovrebbe invece essere tutelato e garantito dalle istituzioni.

Informazioni precise e aggiornate sulle strutture e sui medici che praticano IVG sono fondamentali per garantire l’accesso delle donne a questo servizio, ma purtroppo i dati rilasciati dal Ministero della Salute sono molto carenti da questo punto di vista.

Il Ministero produce annualmente una relazione sull’attuazione della legge 194/1978. L’ultima disponibile risale a settembre 2021 e contiene dati consolidati per il 2019 e dati preliminari per il 2020. Un ritardo di due anni nelle informazioni che determina una loro sostanziale inutilità pratica per coloro che hanno necessità di esercitare il diritto che la legge riconosce.

Una modalità di pubblicazione non adeguata per una Pubblica Amministrazione

Inoltre, la relazione è disponibile solo in formato PDF ed è strutturata su circa 100 pagine con grafici, tabelle e dati numerici inframezzati al testo, e con una sezione dedicata ai soli dati, che da sola occupa il 30% delle pagine. Una modalità di pubblicazione non adeguata per una Pubblica Amministrazione.

Per questi motivi, le organizzazioni e attiviste che hanno dato il via a questa iniziativa chiedono che:

  • tutti i dati presenti nelle tabelle della relazione, siano pubblicati anche come dati aperti, machine readable, riusabili e basati su standard di classificazione;
  • la relazione possa descrivere lo stato dell’arte al massimo dell’anno precedente;
  • la relazione possa includere maggiori informazioni sui Consultori familiari;
  • sul sito del Ministero sia creata una sezione dedicata alla relazione annuale, con l’archivio di tutte le relazioni pubblicate, in modo da poter analizzare il fenomeno nel tempo;
  • siano pubblicati come dati aperti, anche i dataset che fanno da fonte alle tabelle di sintesi della relazione, disaggregati per struttura sanitaria e nel rispetto delle norme sulla privacy;
  • venga predisposta una modalità di pubblicazione continua e più di dettaglio per tutti i dati in archivio nel rispetto della privacy.

Inoltre, i promotori e le promotrici dell’iniziativa ritengono che il monitoraggio dell’obiezione di coscienza dovrebbe essere condotto attraverso la compilazione di un modello unico e standardizzato da parte di ciascuna struttura/servizio pubblico o convenzionato autorizzato, da compilare con cadenza regolare annuale.

Valentina Conti

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