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Il nuovo male del secolo: ecco cos’è la Social Ennui e perché ti riguarda

Cos’è il fenomeno del social ennui, come si sta diffondendo in tutto il mondo e quali sono i motivi: tante cose da conoscere.

Nell’era della social ennui, la voglia di condividere momenti personali sui social network è drasticamente calata. Quella che un tempo era un’attività spontanea e creativa, oggi si trasforma in un peso emotivo difficilmente sopportabile. La social ennui, una forma moderna di noia digitale, si è insinuata tra milioni di utenti, portandoli a postare sempre meno, se non addirittura a scomparire dal panorama social.

La social ennui: cos’è e perché ci riguarda

Il termine ennui, di origine francese, richiama alla mente i versi malinconici di Baudelaire e definisce una noia esistenziale, profonda e priva di una causa apparente. Nel contesto digitale, questa sensazione si manifesta quando si scorrono incessantemente feed e home page senza trovare nulla di veramente significativo. È un’apatia causata dall’iperproduzione di contenuti, in cui la quantità sovrasta la qualità e nessun post riesce più a catturare l’attenzione o emozionare.

Questa condizione non è una moda passeggiera, ma una realtà tangibile: milioni di persone si sentono sopraffatte, provano vergogna o insicurezza nel condividere la propria vita online. Il risultato è un silenzio digitale, una sorta di ritiro dalle piattaforme social per mancanza di stimoli autentici.

Non è che manchino storie o emozioni da raccontare, ma la percezione diffusa è che ciò che abbiamo da offrire non sia mai “abbastanza”. Non abbastanza interessante, bello, profondo o performante da competere con gli standard elevati imposti da content creator professionisti, brand e persino dagli algoritmi che dominano le piattaforme. I social sono diventati un vero e proprio showroom della vita degli altri, dove la quotidianità si perde dietro eventi straordinari, viaggi esotici o appuntamenti glam.

Come e chi è colpito dal social ennui – postbreve.com

Un tempo, anche un semplice “giornata no” poteva scatenare un’ondata di empatia e commenti di conforto. Oggi, invece, è più facile essere etichettati come fuori luogo o “cringe”. La paura del giudizio e la pressione del confronto spingono gli utenti a condividere solo ciò che appare “degno” di attenzione, escludendo la routine e la normalità, che non “convertendo” in like o visualizzazioni.

Paradossalmente, la stanchezza digitale ha generato un nuovo fenomeno estetico sui social. Su TikTok, ad esempio, è nato l’hashtag #EnnuiMood, che raccoglie video in slow motion, musiche malinconiche e ripetizioni di giornate grigie e monotone. Su Instagram, l’estetica dell’ennui si traduce in fotografie di stanze spoglie, finestre piovose e sguardi assenti, accompagnate da didascalie come “scrollando la vita come…” o “un’altra giornata di niente”.

L’algoritmo, crudele ma coerente, ha imparato a premiare questa nuova forma di contenuto, facendo dell’apatia performativa un trend riconosciuto. Ci troviamo così immersi nella cosiddetta meta-noia, una noia che si auto-rappresenta e si auto-alimenta sui social.

Posting Zero: il silenzio come nuova regola?

Kyle Chayka, noto giornalista del New Yorker esperto di cultura digitale, ha teorizzato il fenomeno del posting zero: il momento in cui gli utenti comuni smettono completamente di condividere contenuti personali online, lasciando spazio esclusivamente a brand, influencer professionisti e intelligenze artificiali.

Con algoritmi che favoriscono solo i contenuti virali e piattaforme sempre più orientate alla performance, che spazio resta per chi desidera semplicemente raccontare la propria vita senza filtri o strategie? Il rischio è che la condivisione diventi un’attività riservata solo a chi può investire tempo, risorse e competenze, mentre il resto degli utenti si ritira in silenzio.

Chayka sottolinea inoltre come questa tendenza sia aggravata dalla nostra pigrizia di consumatori, che preferiscono seguire la via più semplice e senza attriti, affidandosi completamente alle indicazioni degli algoritmi. Il risultato è un impoverimento culturale e una perdita di capacità critica, che si riflette anche nella difficoltà di sviluppare un gusto personale autentico.

Romana Cordova

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